Discussione: Il "bugiardino" dei giochi da tavolo (e l'Ambientazione nei giochi)
Colgo l’occasione generata da recenti post di questo forum per formulare un breve pensiero.
C’è un aspetto che riscontro con molta frequenza quando ci si avvicina o si parla di un gioco da tavolo.
Ed è la tendenza a svalutare in modo molto sbrigativo la parte introduttiva e di presentazione del gioco dove di regola si descrive l’ambientazione o il tema.
Credo che di ciò sia complice l’urgenza di tuffarsi con entusiasmo nella descrizione e nella valutazione delle meccaniche e nella partecipazione alla partita.
Non credo tuttavia si tratti di un atteggiamento sempre giustificabile.
Anche perché resterebbe da spiegare per quale motivo nei regolamenti inseriti nelle scatole da gioco esiste sempre (o quasi) una parte introduttiva che cerca di dare un quadro del tema o dell’ambientazione e di spiegare le intenzioni dell’autore.
Affermare che ciò che conta in un gioco sono soprattutto le meccaniche definite dal regolamento secondo me non da conto dell’esistenza di questo elemento introduttivo, come pure delle eventuali note di game design (collocate generalmente alla fine).
L’esperienza di gioco viene quindi a mio modo di vedere impoverita.
E questo perché non si stimola chi gioca a capire fino in fondo il senso di quello che si sta facendo, a cogliere le intenzioni dell’inventore del gioco (e magari il grado di preparazione “culturale”), al di la del semplice movimento delle pedine, del pagamento di una somma di denaro, del tiro dei dati, della pesca di una carta, della composizione di un puzzle di tessere ecc. ecc.
In effetti, perché mai dovrebbe interessarmi un geniale meccanismo di soluzione di un’asta o di acquisizione di determinate tessere senza cogliere il loro significato e la loro utilità rispetto al tema?
Faccio due esempi tratti da due titoli che non possono in alcun modo considerarsi giochi di matrice americana (notoriamente indicati come giochi nei quali prevale l’ambientazione).
In un gioco come Diplomacy (che non ho mai provato, ma del quale ho letto parecchio tempo fa il regolamento), la scelta dell’autore (Allan Calhamer, uno scacchista appassionato di teoria dei giochi se non ricordo male) è stata quella di sintetizzare in un regolamento decisamente contenuto (dove l’alea è totalmente bandita) alcuni elementi che avevano contraddistinto i rapporti tra diplomazia, strategia militare e volontà di predominio tra Potenze Europee prima della prima guerra mondiale.
Vado a memoria ma credo che il cuore del meccanismo preveda che i movimenti e le battaglie tra eserciti e flotte in Europa avvengano dopo una fase diplomatica segreta diretta a creare alleanze, accordi di non belligeranza ecc., seguita da una fase di stesura su apposito foglietto e in segreto da parte di ciascun giocatore dei movimenti delle proprie armate e flotte e quindi dalla risoluzione (credo) simultanea dei movimenti e dei combattimenti.
Ora pare che questo meccanismo sia risultato appropriato e forse geniale nell'evocare le caratteristiche di questi conflitti.
Come ho avuto modo di riscontrare di recente leggendo alcuni saggi di storia delle relazioni diplomatiche relative alle cause della guerra del 1914, alla fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo la diplomazia europea usava spesso lo strumento degli accordi segreti e nessuna Potenza europea aveva (per varie ragioni) una chiara capacità di previsione e di lettura dei comportamenti che avrebbero tenuto nel teatro internazionale europeo le altre Potenze, alleate e non alleate.
Lo stesso tema dei conflitti tra Potenze europee anteriori alla prima guerra mondiale è stato evocato da Gerdts nel suo Imperial (il primo per intenderci, non Imperial 2030, che reputo di gran lunga meno convincente e quindi molto meno bello, perché slegato dal tema e prodotto solo per soddisfare esigenze tecniche).
Ma questa volta l’evocazione del conflitto è avvenuta valorizzando i condizionamenti esercitati dall’economia imperialista sulla politica militare e di espansione degli Imperi europei (come teorizzato, mi pare, da alcuni economisti, soprattutto di matrice marxista).
Ovviamente sto parlando di meccanismi che semplificano moltissimo la realtà storica, ma che restano fedeli al tema indicato nelle introduzioni ed anzi lo rendono vitale e danno un’anima al gioco.
Quindi, per riprendere il titolo provocatorio dato a questo topic, le introduzioni e le note di game design, secondo me non sono un elemento di poca importanza.
Sono anzi elementi che andrebbero letti attentamente in rapporto alle meccaniche, per valutare un titolo e capire se si tratta di semplici “bugiardini” (come i foglietti di istruzioni di molti medicinali per capirci, o come i testi di quarta di copertina di certi romanzi) o elementi che rivelano la coerenza tra meccanismi e molteplici significati del gioco al quale si riferiscono.